“Ad un passo dalla morte, tutti devono sapere e vedere”. Il racconto da brividi

di admin

“Ad un passo dalla morte, tutti devono sapere e vedere”. Il racconto da brividi

| domenica 16 Gennaio 2022 - 10:39

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“Ad un passo dalla morte, tutti devono sapere e vedere”. Il racconto da brividi

«A rivederla ho di nuovo lacrime agli occhi, raga». Bukuran Nishori, per la prima volta dopo due anni e mezzo affida a Instagram una foto in cui appare a letto, ancora senza forze, a dieci giorni dal ricovero in ospedale. È il giovane (ora ha 28 anni) che, più di tutti, «se l’è vista brutta» quel giorno del luglio 2019, sull’Altopiano. Racconta di essere colpito dal calcio di un carabiniere (non in servizio), svenendo quasi sul colpo.

«In realtà – racconta al telefono – mi sono rialzato per un attimo. Perdevo un sacco di sangue. Poi sono caduto “a peso morto”, battendo la testa. E mi sono procurato un altro grave trauma». Per ricostruire quanto accaduto ha dovuto affidarsi agli amici. «Ho perso completamente la memoria – tenta di ricostruire – non ho idea di quello che sia successo. Quando mi hanno detto che c’era stata una lite con dei carabinieri non ci riuscivo a credere. In tutta la mia vita non ho mai avuto problemi con le forze dell’ordine».

L’inchiesta della procura di Vicenza

La sua storia è stata raccontata dal Corriere del Veneto mercoledì. Riemersa grazie a un’inchiesta della procura di Vicenza che si è conclusa con accuse a sei carabinieri per lesioni e per falso in atto pubblico. Nishori, cittadino italiano, famiglia originaria del Kosovo, ora ha scelto di raccontare quella sera. «Sono stati anni difficilissimi – spiega – ho aspettato in silenzio. Oltre a quanto ho passato in ospedale, dove per una decina di giorni sono stato impossibilitato a muovermi, ci sono state conseguenze anche sul lavoro che avevo allora: quando l’azienda ha saputo dei quattro mesi di prognosi non ha più voluto rinnovarmi il contratto. Ma quello che più mi ha ferito è stata la difficoltà nel far emergere la verità. Io sapevo di non aver fatto nulla di male.

Il resto me l’hanno raccontato i testimoni. Ma per molto tempo ho avuto paura che tutto questo non si venisse mai a sapere». Dopo l’accaduto, infatti, sono iniziati i tentativi per aver giustizia. Ma non è facile: «Appena sono uscito — racconta Nishori — il carabiniere che mi ha colpito con un calcio si è presentato a casa per dirmi di non fare denuncia. Poi sono andato da un avvocato, che mi ha consigliato di mirare a patteggiare per portare a casa un po’ di soldi con cui coprire le spese. Anche amici e conoscenti mi dicevano: “Ti stai mettendo contro lo Stato, è una partita persa”. Solo dopo aver contattato l’avvocato Roberto Dissegna, che ha preso in mano il caso, ho trovato gli strumenti e la forza per denunciare. Ma non sono mancati i momenti difficili: per mesi mi hanno sequestrato il cellulare e non capivo perché, temevo credessero che mi fossi inventato tutti».

La conclusione è dura: «Quel carabiniere mi ha quasi ucciso con un calcio. Poi mi ha pure denunciato. Spero che altri, in situazione del genere prendano esempio da me». Dal canto loro i 4 carabinieri ancora indagati ( nel frattempo ci sono stati un’archiviazione e un patteggiamento) respingono con forza le accuse mosse loro a vario titolo, e cioè di lesioni aggravate e falso. Per i militari la versione dei fatti sarebbe un’altra e non sarebbero da imputare loro responsabilità. Come chiariranno in sede di udienza preliminare, nel corso della discussione davanti al pm Cristina Carunchio e al giudice Matteo Mantovani, i rispettivi difensori.

E cioè gli avvocati Fausto Taras, Dario Lunardon, Francesco Mocellin e Pierpaolo Simonetto. «Da parte nostra contestiamo gli addebiti» dichiara Taras che confida emerga la posizione del suo. «Il mio assistito nega gli addebiti e si difenderà» gli fa eco Lunardon. Nel caso del militare difeso da Mocellin, che è indagato ma al contempo anche danneggiato – è colui che ha avuto una colluttazione con uno dei ragazzi e ne ha avuto per una quarantina di giorni – potrebbe valutare un’eventuale azione civile per ottenere un risarcimento dal giovane che lo ha aggredito e che ha già chiuso la sua posizione con un patteggiamento. Anche un militare aveva scelto di scendere a patti concordando la pena con la procura (sei mesi, pena sospesa) per falsità materiale. E proprio perché per quest’ultimo la pena è già definita e non vi saranno altri gradi di giudizio, l’Arma potrebbe procedere in parallelo con un eventuale provvedimento disciplinare.

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