Gli ha raccontato un mucchio di bugie: l’ha convinto a sposarla dopo che ha scoperto di essere incinta, le ha detto che la bimba era la sua, dopo il matrimonio ha continuato sistematicamente a tradirlo (sempre con la stessa persona). Quando lui ha scoperto il tradimento e lei, messa di fronte all’evidenza dei fatti, gli ha confessato che la relazione con l’amante andava avanti da prima del loro matrimonio, lui è stato assalito da un atroce dubbio: «E se quella bimba non fosse figlia mia?».
Non riuscendo a vivere con quel dubbio, ha fatto ricorso alla prova del Dna. Dalla scienza gli è arrivata la certezza: la bambina partorita dalla moglie non è figlia sua. Ha, quindi, intrapreso azione di disconoscimento della paternità davanti al Tribunale di Brindisi (i giudici si sono pronunciati, accogliendo l’istanza, con sentenza del 27 settembre 2010). A seguire ha avviato il giudizio di annullamento del matrimonio e il Tribunale di Brindisi, con sentenza del 29 gennaio 2014, ha accolto la domanda.
Tagliato ogni ponte con quella unione che era fondata su un mucchio di menzogne, il 56enne fasanese (per ovvie ragioni di tutela della privacy non pubblichiamo neanche le sue iniziali, come anche quelle della ex moglie) ha citato in giudizio, affidando la tutela delle sue ragioni all’avvocato Giovanni Caroli, l’ex moglie.
Al Tribunale ha chiesto «la condanna della donna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che gli sono derivati da una serie di circostanze: dall’essergli stato nascosto che egli non era il padre della nascitura; dall’essere stato indotto in errore sulla circostanza della sua paternità, con conseguente sua scelta non libera di contrarre matrimonio; dalle conseguenze negative patite sul piano psicologico ed affettivo; dalla conseguente modifica dei propri progetti di vita. Il giudice ha accolto la richiesta dell’avvocato Caroli.
«La liquidazione del danno – ha sentenziato il giudice Stefano Marzo – non patrimoniale deve avvenire su base di equità. Si ritiene congrua la liquidazione di euro 20mila, oltre interessi legali di mora dalla domanda fino al soddisfo. Il danno patrimoniale di cui è stata fornita prova documentale – prosegue la sentenza – consiste nelle spese sostenute per le cure psichiatriche cui l’attore ha dovuto fare ricorso a seguito del trauma emotivo subito in conseguenza degli eventi oggetto di causa. A ciò si aggiunge il costo per le analisi del Dna della piccola».
Il giudice ha, altresì, condannato l’ex moglie del 48enne fasanese a rifondere al suo ex coniuge le spese processuali, che ha liquidato in complessivi 5.353 euro. La sentenza è arrivata a cinque anni dall’inizio del processo e a nove anni dal matrimonio, a cui il 56enne fasanese si era deciso dopo che l’allora fidanzata gli aveva detto di essere in attesa di un figlio «concepito con lui in costanza di fidanzamento». Le cose stavano in modo diverso, profondamente diverso.