Dicono che Marisa non abbia mai detto una parola a nessuno delle sue pene. E dicono anche che il piano lo abbia studiato per settimane, ostaggio di quella disperazione che si portava dentro. Marisa ha preso i farmaci in ospedale e ha preparato il veleno. Marisa ha ucciso i suoi bambini con una puntura. Poi ha scritto al marito: «Mi hai spento il sorriso». Mi hai fatto soffrire: «Adesso soffrirai tu». Poi ha afferrato l’ultima siringa, se l’è piantata nel braccio e si è lasciata andare.
“E’ la mancanza di speranza e la mancata capacità di chiedere aiuto che uccide in questi casi, perché porta a non riuscire a vedere un’altra via d’uscita che non sia l’annullamento”.
Il presidente della Società italiana di Psichiatria (Sip), Enrico Zanalda, commenta così il caso di infanticidio-sucidio che si è verificato ad Aymavilles, in provincia di Aosta. Episodi simili, spiega, sono rarissimi e se ne registrano circa 0,09 casi su 100.000 abitanti, circa uno su milione ogni anno. “Sono in genere causati da uno stato di depressione che può essere più o meno latente e più o meno di recente insorgenza.
In passato – precisa l’esperto – episodi di depressione particolarmente gravi erano più frequenti. Oggi, con i trattamenti farmacologici, si riesce normalmente a tenerli più sotto controllo. In questo caso, quindi, si potrebbe esser trattato di una condizione depressiva particolarmente subdola o improvvisa, visto che nessuno intorno sembra essersi accorto della sofferenza che la donna stava provando”.