Uno dice: undici bruciature, addosso a un bambino di cinque anni. Ma la parola e i numeri non rendono l’ idea: perché bisogna immaginare un bambino steso a forza su un tavolo, e la madre che per undici volte gli appoggia il ferro da stiro sul corpo e gli infligge altrettante bruciature, tutto soltanto perché – giocando – era tornato a casa con uno strappo nei pantaloni. Undici bruciature e ventisei ecchimosi: per queste «lesioni gravi» e per questi «maltrattamenti» la mamma del bambino – una giovane cittadina marocchina – ha patteggiato 3 anni di pena davanti alla giudice dell’udienza preliminare Elisabetta Meyer.
Nell’ inchiesta del pm Giovanni Tarzia, dove la ventisettenne è stata difesa dagli avvocati Drago e Provenzano che molto si sono spesi anche per avviarla insieme alla Procura a un percorso di aiuto psicologico di cui ha palese bisogno, la giovane madre non ha saputo dare una qualche spiegazione pseudo-razionale di quanto ha inflitto al figlio:
da un lato ha negato di aver ella stessa subìto maltrattamenti analoghi da bambina (esperienze che spesso si ritrovano in chi poi le ripete sui figli), dall’ altro ha spiegato solo vagamente di essere stata molto sotto stress all’ epoca (dicembre scorso) di quella crudele punizione.
Sullo sfondo, come spesso in questi casi, una relazione naufragata con il papà del bambino (un cittadino marocchino che, quando vivevano in un’ altra città, li aveva cacciati di casa e che ora vive in Germania), e poi un legame con un nuovo compagno, ora pure indagato dalla Procura per l’ ipotesi di «lesioni» perché almeno per un periodo di quella giornata era in casa quando il bambino è stato punito dalla madre.
All’epoca della scoperta delle lesioni gli inquirenti si erano ovviamente posti anche il problema se disporre o meno una qualche misura cautelare a carico della madre: poi, però, la donna non era stata arrestata perché i magistrati avevano ritenuto non esistessero più esigenze cautelari da tutelare (con la detenzione in carcere o gli arresti domiciliari) una volta che il piccolo le era subito stato tolto ed era stato messo al riparo in una comunità protetta.
Dove adesso si attende che si definisca il procedimento davanti al Tribunale dei minorenni per la sua adottabilità o meno: scelta alla quale non sarà indifferente, come estrema chance, l’ esito del percorso psicologico intrapreso dalla donna.