Dalle luci stroboscopiche alle carte bollate: il fallimento del Cocoricò alle porte della stagione estiva (il Tribunale di Rimini ha rigettato la richiesta di concordato preventivo) mette la parola fine ad un’era ha fatto la storia del clubbing. Solo lo scorso anno il locale, che negli anni ha ospitato dietro la consolle dj di fama mondiale e ospiti illustri, aveva festeggiato i suoi 30 anni di attività.
L’avventura è iniziata nel 1989: Bruno Palazzi e Osvaldo Barbieri decidono di prendere in mano il locale che sarebbe diventato il Cocoricò (che prima era stato Club dei 99 e poi Lex Club), rimetterlo a posto e ribattezzarlo prendendo spunto dal verso del pappagallo.
Il «Cocco» chiude quasi subito per insuccesso ma viene riaperto con uno staff rinnovato nel 1990. Nel decennio successivo diventa un vero e proprio tempio per gli appassionati di musica techno.
La proposta musicale della sala principale, sormontata dalla celebre piramide di vetro (che si dice ispirata da quella del Louvre), anno dopo anno si è allargata accogliendo nelle altre sale anche generi come house, musica elettronica e ambient. Anche se il Cocoricò è riuscito nonostante il passare degli anni a mantenere intatto il suo glamour
(fino a pochi anni rientrava nella classifica delle migliori discoteche al mondo accanto a quelle di un’altra Mecca del divertimento, Ibiza) con l’arrivo degli anni Duemila l’intero comparto – i locali che hanno animato la Riviera nei due decenni precedenti – è entrato in crisi.
Oltre a questo il «Cocco» ha dovuto affrontare anche problemi economici di diversa natura, dalle tasse non pagate (tra Comune ed Erario) all’iva non versata. La discoteca nel 2015 è finita nel mirino a causa di una tragedia: un 16enne di Città di Castello, Lamberto Lucaccioni, è morto dopo essersi sentito male sulla pista, stroncato da una pasticca di ecstasy (una vicenda simile era già accaduta nel 2004, allora a perdere la vita era stato il 20enne Enrico Fusari). In seguito il locale è stato chiuso per quattro mesi dal questore di Rimini.