La Grecia è uno dei paesi europei meno colpiti dal coronavirus, con meno di 2.000 casi di COVID-19 confermati ad oggi, circa 270 persone ricoverate e 87 morti. Per il bassissimo tasso di infezioni e decessi la penisola ellenica è diventata un “caso” internazionale. I numeri, però, potrebbero essere più alti di quelli ufficiali. Ciò che emerge, provando a capire le ragioni dietro un numero così esiguo di casi nel paese, è che la “saggia e lungimirante gestione del governo Mītsotakīs” è riuscita a prevenire una crisi sanitaria in un paese già devastato dagli effetti della crisi economica. Infatti le misure di blocco in Grecia sono entrate in vigore già dalla scoperta del primo caso, mentre con un occhio si guardava cosa stava succedendo nella vicina Italia, a Codogno. Così, prima ancora che l’epidemia avesse avuto modo di diffondersi, sono state chiuse scuole, università, uffici, bar e luoghi pubblici. (Continua…)
Se è vero che il lockdown anticipato abbia influito sulla limitazione dei contagi nel paese, ci sono una serie di altri aspetti che però finora non sono stati considerati. Il primo fra tutti, la questione tamponi. In Grecia non vengono fatti tamponi a tappeto e anzi, stando ai dati il numero di test fatti è inferiore a quello di molte altre nazioni. Inoltre c’è un’alta percentuale di popolazione anziana, proprio come in Italia, e gli anziani si sa, sono i soggetti più a rischio decesso. Sorge quindi il dubbio che dietro una gestione dell’emergenza oculata e previdente, dietro i pochissimi casi di coronavirus in Grecia ci possa essere altro. (Continua…)
I dati dei contagi in Grecia vengono forniti solo in via ufficiale dall’EODY (Hellenic National Public Health Organization) e pubblicati ogni giorno nel rapporto giornaliero di sorveglianza epidemiologica del nuovo coronavirus. Ci si può attenere quindi soltanto alla fonte ufficiale per la conta dei pazienti infetti e ai campioni di laboratorio risultati positivi. Stando ai dati EODY che abbiamo consultato, in Grecia sono stati testati 32.528 tamponi, su un totale di 11 milioni di abitanti.
In Grecia i tamponi sono stati fatti, inizialmente, solo a chi proveniva dall’estero. Inoltre chi presenta sintomi riconducibili al coronavirus viene seguiti fino all’ultimo dai medici di famiglia e si fa tutto il possibile pur di non far arrivare in ospedale se non necessita ospedalizzazione. D’altronde il sistema sanitario pubblico in Grecia è stato drasticamente indebolito da un decennio di tagli ai finanziamenti e al personale, e un affollamento dei reparti da parte dei pazienti contagiati – con il rischio di contagiare medici e personale sanitario – potrebbe essere un suicidio. È altamente probabile che i casi di COVID-19 in Grecia siano sottostimati in quanto non vengono effettuati test a tappeto né tanto meno test per il coronavirus post-mortem. Ragion per cui è possibile che molte persone siano morte in casa senza diagnosi, prima di risultare positive e non compaiono nelle statistiche. (Continua…)
Il confronto tra i contagi in Grecia e in Italia si fa più intrigante se pensiamo che la Grecia è il secondo paese europeo per età media alta: il 21,3% della popolazione ha più di 65 anni, posizionandosi così tra l’Italia (22% di over 65) e la Germania (21,1%). Due paesi che abbiamo già messo a confronto sul piano dei contagi e tasso di mortalità per coronavirus. Nel caso della Germania, sembra che le differenze di tipo sociale e culturale abbiano giocato un ruolo chiave nel contenimento dei casi e dei decessi (qui la percentuale di giovani adulti che vive ancora con i genitori è molto più bassa rispetto all’Italia, e il distanziamento sociale dai soggetti più a rischio ha quindi abbassato il tasso di mortalità). Il discorso è invece diverso per la Grecia. Secondo i dati Eurostat più della metà dei giovani greci tra i 20 e i 30 anni vivono con i loro genitori: in particolare il 56,3% dei 25-34 anni ha dichiarato di aver vissuto a casa dei genitori nel 2018, il tasso più alto in UE dopo Croazia e Slovacchia. Un dato che non sarebbe solo legato alla pesantissima crisi finanziaria del paese, ma anche a un fattore sociale e culturale. L’unità familiare per i greci è di fondamentale importanza: è sulla famiglia che fanno affidamento per supporto emotivo e finanziario; la vita sociale di molti greci di qualsiasi età ruota intorno ai parenti stretti e alla famiglia allargata e non è un tabù per i giovani adulti vivere ancora con i genitori.
Diventa allora interessante vedere la distribuzione geografica del totale dei casi COVID-19 nel paese. Contrariamente alle attese, la zona di Atene e Pireo, quella più densamente popolata (la capitale ha 5 milioni di abitanti) non è la più colpita in assoluto: la zona con più contagi è infatti il Nord, in particolare la regione al confine con l’Albania. Può essere che Atene insabbi i morti? Abbiamo contattato fonti impiegate al comune di Atene, che gestisce 4 cimiteri cittadini, e a quanto ci dicono non sono stati registrati numeri anomali di decessi negli ultimi mesi. Come si spiega allora la plateale differenza nel tasso di mortalità? Oltre alla questione dei tamponi detta sopra, è probabile che la Grecia non abbia avuto il boom di casi come in altri paesi europei sia perché l’età media dei casi è di 50 anni (e non più bassa, come invece accaduto in Cina, per esempio) sia perché la maggior parte dei pazienti ha contratto il virus con qualche settimana di ritardo rispetto a noi, quando ormai il governo aveva attuato tutte le misure restrittive del caso.