I dati ufficiali sulla diffusione del virus in Lombardia, fondamentali per valutare la riapertura dei confini, sono verosimilmente sottostimati». Così al Corriere della Sera Nino Cartabellotta, presidente del Gimbe che stamattina aggiorna il monitoraggio sulla capacità di sorveglianza dei contagi delle regioni italiane. La denuncia arriva nelle ore cruciali in cui il governo deve decidere il «liberi tutti» sugli spostamenti a partire dal 3 giugno. L’annuncio è atteso per domani. Ai dubbi degli scienziati espressi nei giorni scorsi, s’aggiunge l’analisi indipendente del Gimbe.
La Lombardia, la più colpita dall’epidemia, non è pronta per quattro motivi. Uno: la percentuale di positivi al giorno è più alta di quella che viene comunicata. Per capire la reale incidenza dei nuovi casi sul numero di tamponi eseguiti non bisogna prendere, come invece viene fatto nei comunicati quotidiani, il totale dei tamponi, ma solo dei «diagnostici», escludendo cioè quelli eseguiti per confermare la guarigione virologica o per necessità di ripetere il test. Così ben si vede come, nella settimana tra il 4 e il 27 maggio, la percentuale di tamponi diagnostici positivi in Lombardia (6%) è superiore alla media nazionale (2,4%). L’ultimo dato comunicato dalla Lombardia è invece dell’1,7%. Situazione critica anche per Liguria (5,8%) e, in misura minore, per Piemonte (3,8%), Puglia (3,7%) ed Emilia-Romagna (2,7%). (Continua…)
Due: il numero dei positivi è sottostimato perché manca ancora un tamponamento massiccio. I tamponi «diagnostici» per 100 mila abitanti in Lombardia sono 1.608, poco sopra la media nazionale di 1.343. Contro i 4.076 della Valle d’Aosta e i 4.038 della Provincia Autonoma di Trento, le regioni che ne fanno di più. Il Veneto è a 1.800. Ora, siccome per trovare il virus lo devi cercare, il dubbio è: quanti sarebbero davvero i casi se la Lombardia facesse un tamponamento massiccio? «Nelle tre Regioni ad elevata incidenza di nuovi casi, la propensione all’esecuzione di tamponi rimane poco al di sopra della media nazionale sia in Piemonte (1.675) che in Lombardia (1.608) – ribadisce il Gimbe –, mentre in Liguria (1.319) si attesta poco al di sotto».
Tre: i nuovi casi giornalieri, per 100 mila abitanti, sono il triplo della media nazionale, ma sono i meno noti. L’incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti, rispetto alla media nazionale (32), è nettamente superiore in Lombardia (96). Seguono Liguria (76) e Piemonte (63). Se il dato del Molise (44) non desta preoccupazioni perché legato a un recente focolaio già identificato e circoscritto, quello dell’Emilia-Romagna (33) potrebbe essere sottostimato dal numero di tamponi diagnostici (1.202 per 100.000 abitanti) ben al di sotto della media nazionale (1.343). (Continua…)
Qui il Gimbe sottolinea, quello già evidenziato dall’epidemiologo Vittorio Demicheli, rappresentante delle Regioni nella cabina di regia del ministero della Salute: «Al di là dei bollettini ufficiali, i dati che preoccupano per la Lombardia, sono i meno noti». Conclusione di Cartabellotta: «A 23 giorni dall’allentamento del lockdown, dunque, la curva del contagio non è adeguatamente sotto controllo in Lombardia, Liguria e Piemonte: in queste Regioni si rileva la percentuale più elevata di tamponi diagnostici positivi, il maggior incremento di nuovi casi, a fronte di una limitata attitudine all’esecuzione di tamponi diagnostici. In Emilia-Romagna, una propensione ancora minore potrebbe distorcere al ribasso il numero dei nuovi casi».
Quattro: la Lombardia sovrastima i guariti perché li comunica insieme ai dimessi di cui non è noto lo status di guarigione, clinica o virologica. Ciò fa sì che i 24.037 soggetti oggi potenzialmente infetti in realtà possano essere di più. E ciò, insieme alla limitata propensione all’effettuazione dei tamponi, sottostima il valore dell’indice Rt. Immediata e durissima la risposta della Lombardia. «Le dichiarazioni sono gravissime, offensive e soprattutto non corrispondenti al vero – si legge in una nota. In Lombardia fin dall’inizio della pandemia i dati vengono pubblicati in maniera trasparente e inviati alle Istituzioni e alle autorità sanitarie preposte. Nessuno, a partire dall’Istituto Superiore di Sanità, ha mai messo in dubbio la qualità del nostro lavoro che, anzi, proprio l’ISS ha sempre validato ritenendolo idoneo per rappresentare la situazione della nostra regione». «È dunque inaccettabile – conclude la Nota – ascoltare simili affermazioni che ci auguriamo vengano rettificate da chi le ha pronunciate».