Notizia certificata e riportata da Today.it. Mentre continuano le polemiche sulle zone rosse, arancioni e gialle nel nuovo Dpcm e le Regioni non sembrano darsi pace, a breve tutto potrebbe cambiare. Nel senso che con l’arrivo dei nuovi dati per gli indicatori “automatici” alcune zone e territori che si erano salvati fino al 3 novembre potrebbero finire nel lockdown “morbido” messo su dal Decreto ministeriale attraverso l’ordinanza del ministero della Salute.
Nuovo Dpcm: come si finisce in zona rossa
Andiamo con ordine. La valutazione sulle regioni in zona rossa, arancione o gialla è effettuata da una Cabina di Regia a cui partecipa oltre al dipartimento della prevenzione del Ministero della Salute (Gianni Rezza è il direttore generale), l’Istituto Superiore di Sanità (il presidente Silvio Brusaferro) e i membri designati dalla Conferenza delle Regioni (in questo caso Lombardia, Campania e Umbria). L’attività di raccolta dei dati è attiva sin dallo scorso mese di maggio. (Continua..)
Come abbiamo spiegato, ognuno dei tre scenari è associato ad un diverso rischio coronavirus. Il primo” scenario “è con Rt sotto il valore 1, poi tra 1 e 1,25 dove” l’epidemia “è ancora gestibile, e poi tra 1,25 e 1,50 in cui l’epidemia corre veloce. Questi scenari determinano la velocità con cui un’infezione si trasmette. La combinazione degli scenari di rischio fa da driver principale per la definizione delle misure che non dobbiamo inventarci, ma sono definite nei documenti”, ha precisato Brusaferro sull’analisi dei dati del monitoraggio regionale della cabina di regia e l’approfondimento sugli indicatori che hanno portato all’ordinanza del ministero di ieri.
Per il monitoraggio dell’andamento di Covid-19 in Italia, “e per classificare tempestivamente il livello di rischio in modo da poter valutare la necessità di modulazioni nelle attività di risposta all’epidemia, sono stati disegnati alcuni indicatori con valori di soglia e di allerta che dovranno essere monitorati, attraverso sistemi di sorveglianza coordinati a livello nazionale, al fine di ottenere dati aggregati nazionali, regionali e locali”. A illustrare i 21 indicatori, “divisi in tre grandi categorie”, come ha spiegato oggi al ministero della Salute il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, è una nota della Direzione generale della prevenzione sanitaria e della Direzione generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute del 30 aprile scorso. Detto ciò, come si finisce in zona rossa e perché alcune regioni si sono “salvate? (Continua..)
Il Corriere della Sera spiega oggi che per cinque regioni (Abruzzo, Basilicata, Liguria, Veneto e Valle d’Aosta) mancano alcune voci. Altre invece, come per la Valle d’Aosta, arrivano a singhiozzo così come per la Campania, la Sicilia, le Marche e il Friuli-Venezia Giulia. Il «ritardo di notifica della Campania» potrebbe portare a un aumento dei casi nei prossimi giorni. Ma forse, nell’evitare la zona rossa, il governo ha tenuto conto delle misure aggiuntive decise dalla Regione, a partire dalla chiusura delle scuole. Mentre per la Liguria si sospetta una parziale sottostima del Rt, che però il governatore Giovanni Toti respinge: «Avevamo chiesto un confronto prima della decisione, ne potevamo discutere lì». E poi ci sono zone grigie più sottili, come il caso del numero dei ricoverati all’ospedale di Cosenza: dato trasmesso 14, dato pubblicato 2.
Cosa rischiano Campania, Veneto e Liguria
Proprio per questo ci sono alcune regioni che rischiano a breve di finire in altre zone rispetto a quella gialla. Come abbiamo spiegato ieri, per inserire le sei regioni nelle zone rossa e arancione è stato usato il monitoraggio di venerdì scorso, basato sui dati dal 19 al 25 ottobre. Ma entro domenica arriveranno i dati più aggiornati e quindi alcune regioni potrebbero cambiare posizione. Tra queste, spiega oggi Repubblica, c’è il Veneto che è tra le regioni gialle con riserva perché i suoi dati sono incompleti: “Considerando l’imminente rivalutazione del rischio su dati aggiornati alla settimana 26 ottobre-1 novembre 2020 – è scritto nell’ultimo verbale della Cabina di Regia – si ritiene di attenzionare in particolare queste Regioni per una definizione aggiornata e puntuale del livello di rischio”. Se i dati saranno peggiori scatterà il salto di livello. Come abbiamo scritto, rischia anche la Toscana.
Per quanto riguarda la Campania, molti si sono sorpresi di non trovarla tra le Regioni arancioni, visto che nelle ultime settimane ha avuto svariati problemi, con una grande crescita della diffusione del virus e ospedali in difficoltà. Pure nel suo caso a breve potrebbero esserci delle novità, anche perché nel monitoraggio viene a richiamata per l’invio di molti dati incompleti, in particolare sui ricoveri. E non finisce qui: in Veneto per esempio i focolai sono 3.347 dei quali 1.716 nuovi. I casi non tracciati, per i quali non si è trovata cioè una catena di trasmissione, sono stati ben 4.689 casi non tracciati, un numero molto alto. La Cabina di regia segnala però che in Veneto c’è una «bassa percentuale di completezza dei dati». Ha deciso così di considerare la Regione “non valutabile, equiparato a rischio alto”. In Campania l’incidenza è di 355,7 casi per 100mila abitanti, i focolai attivi 133, dei quali 97 nuovi. Le terapie intensive e i reparti internistici sono al 14 e 26% di occupazione (ma giovedì i dati sono saliti a 27 e 37%). I nuovi casi non tracciati sono 642. Pur avendo anche la Campania comunicato numeri incompleti, il rischio si può comunque calcolare, nel suo caso è “moderato con probabilità alta di progressione”. Infine, va segnalato che una volta finiti in una zona rossa è difficile uscirne. Come ha spiegato ieri Rezza, se in una regione l’Rt scende da 2 a 1,8 il virus corre ancora velocemente e quindi bisogna essere prudenti. Se invece aumenta senza superare la soglia è vero che il parametro rimane quello, ma per il principio della prudenza è meglio varare una stretta prima che sia troppo tardi.