Nel Sud della Francia è stata scoperta una nuova variante “super mutata” del coronavirus SARS-CoV-2, il cui nome in codice nel database genetico internazionale GISAID è B.1.640.2 (Pangolin lineage). Gli scienziati che l’hanno individuata hanno deciso di soprannominarla IHU, ma non fa ancora parte delle varianti sotto investigazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Ciò non significa che in futuro non possa diventare una nuova variante di preoccupazione come l’Alfa, la Beta, la Gamma, la Delta e la Omicron, tuttavia al momento mancano ancora troppi dati per sapere quanto sia effettivamente trasmissibile, aggressiva e/o in grado di eludere gli anticorpi neutralizzanti, sia quelli indotti dal vaccino anti Covid che quelli legati a una precedente infezione naturale. Inoltre non sta dimostrando una significativa capacità di diffusione, dato che al momento è riportata soltanto in una dozzina di casi in Francia, tutti legati a un paziente zero proveniente dal Camerun.
A scoprire la nuova variante del coronavirus SARS-CoV-2 è stato un team di ricerca francese guidato da scienziati dell’IHU Méditerranée Infection, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Laboratoire de Biologie Médicale SYNLAB, dell’Università di Aix-Marsiglia e dell’istituto INSERM. Gli scienziati, coordinati dal professor Philippe Colson, docente presso l’Institut de Recherche pour le Développement (IRD) dell’ateneo marsigliese, l’hanno identificata sottoponendo il campione biologico del viaggiatore camerunense al sequenziamento genomico di ultima generazione “Oxford Nanopore Technologies”.
Dall’analisi è emerso che la nuova variante B.1.640.2 è persino più mutata della Omicron, principale responsabile dell’attuale ondata di contagi. Sono state infatti rilevate 46 mutazioni e 37 delezioni, con 30 sostituzioni di amminoacidi e 12 delezioni. Fra esse, 14 sostituzioni di amminoacidi e 9 delezioni si trovano sulla proteina S o Spike, il grimaldello biologico sfruttato dal coronavirus SARS-CoV-2 per legarsi alle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare all’interno l’RNA virale e avviare la replicazione, il meccanismo che determina la malattia (chiamata COVID-19). Il ceppo è “parente” della vecchia variante B.1.640.1, dalla quale differisce per 25 sostituzioni nucleotidiche e 33 delezioni.
Tra le sostituzioni di amminoacidi più significative di “IHU” rilevate dal professor Colson e colleghi vi sono la N501Y e la E484K, entrambe presenti in varianti di preoccupazione. La prima, identificata nella Alfa (ex inglese B.1.1.7) è stata associata a una maggiore contagiosità, mentre la seconda a una ridotta sensibilità agli anticorpi innescati dai vaccini. Il fatto che B.1.640.2 o “IHU” le contiene entrambe non significa automaticamente che essa sia più trasmissibile ed elusiva, anche perché combinazioni di mutazioni possono “annullarsi” o comunque essere poco vantaggiose per il patogeno.
Il fatto che al momento è stata rilevata solo in pochi pazienti è sicuramente un dato significativo, considerando che il primo caso è stato segnalato circa un mese fa. Saranno comunque necessari ulteriori studi per determinare tutte le caratteristiche della variante e le potenziali minacce; solo allora l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) deciderà se metterla sotto la lente di ingrandimento o meno. Del resto esistono migliaia di lignaggi del coronavirus SARS-CoV-2, ma nella stragrande maggioranza dei casi il set di mutazioni non è significativo e non apporta particolari “benefici” al patogeno. I dettagli sulla nuova variante sono stati descritti nell’articolo “Emergence in Southern France of a new SARS-CoV-2 variant of probably Cameroonian origin harbouring both substitutions N501Y and E484K in the spike protein” caricato su MedrXiv, in attesa della revisione fra pari e la pubblicazione su una rivista scientifica.