Ucciso dal padre a 8 anni in un incontro protetto: l’omicidio del piccolo Federico Barakat
Un colpo di pistola e 37 coltellate hanno strappato la vita di Federico Barakat, 8 anni, nel consultorio ASL di San Donato Milanese, il 25 febbraio 2009. Il piccolo, aggredito dal padre Mohamed Barakat, durante un incontro protetto voluto dal giudice e dai servizio sociali, è morto dopo 57 minuti di agonia. La madre, che aveva denunciato suo il compagno per stalking, aveva segnalato dall’inizio il pericolo: “Vuole ucciderlo, non fategli incontrare suo figlio”.
È il 1998 l’anno in cui Antonella Penati conosce Mohamed Barakat, affascinante archeologo egiziano. Lei lavora per una multinazionale farmaceutica, lui è spesso in viaggio, ma la storia, che ha come cornice San Donato Milanese, li sorprende presto con un meraviglioso regalo: Federico. Il piccolo nasce due anni dopo l’inizio dell’amore e contemporaneamente Mohamed comincia a manifestare preoccupanti segni di malessere. È agitato, ossessivo, violento, in poche parole, ingestibile. Gli viene diagnosticato un disturbo bipolare di personalità. Antonella, suo malgrado, si decide ad allontanarlo per il proprio bene e per quello del bambino, ma lui non ci sta.
Gli incontri protetti
Da quando varca la soglia di casa con la valigia, Mohamed mette in atto contro la sua ex compagna una autentica persecuzione. Arrivano, nell’ordine, la denuncia di lei per minacce, una sentenza di condanna per aggressione (lui si dichiara colpevole) e il provvedimento del giudice che regolamenta, attraverso l’ausilio del servizio sociale, gli incontri del figlio con il padre. Federico, che cresce in questo clima di pericolo e paura, matura presto la consapevolezza che gli incontri protetti per lui non sono affatto una buona cosa. “Mamma non voglio vederlo” protesta con Antonella, ma lei non può opporsi.
Le denunce: “È pericoloso”
“Mamma lo dico io alle signorine dei servizi sociali, lo dico io al giudice” promette, ma Antonella sa che non servirà, ha già fatto tutto quello che poteva per far presente che quell’uomo aveva minacciato la vita del bambino e che prima o poi avrebbe agito. “Lei è una madre ipertutelante”, le avevano detto. “Cosa vuole che succeda?”. Antonella sa che non finirà bene e che lei non può farci proprio niente. Tutto quello che riesce ad ottenere, dopo infinte richieste e pur continuando a denunciare a tutti i livelli la pericolosità del suo ex, è che gli incontri tra padre e figlio avvengano in una struttura protetta, ovvero all’interno del consultorio nei locali dell’ASL di San Donato, in via Sergnano.
Morire in un incontro protetto
È il 25 febbraio 2009, Federico viene prelevato dall’educatore da scuola e accompagnato all’ennesimo incontro non voluto con il padre. “Mamma non voglio” protesta, ma non c’è niente da fare. “Andrà tutto bene” lo rassicura la madre. Federico varca la soglia di quella stanza dove resta da solo con il padre.Dopo qualche minuto parte un colpo di pistola, dopo 57, Federico è a terra esangue. Suo padre gli ha sparato, lo ha inseguito, raggiunto e accoltellato con 37 fendenti. Poi ha rivolto quel coltello contro se stesso e si è ammazzato. Ad Antonella non resta che baciare per l’ultima volta suo figlio e impartirgli quel battesimo cristiano che tanto aveva sognato insieme a un’altra cosa. Di diventare un carabiniere “così ti posso proteggere, mamma”. Ma quel sogno non potrà mai realizzarlo.
Assistenti sociali ‘non responsabili’
Dopo anni di tribunale i due assistenti sociali e l’educatore che avevano, loro sì, l’incarico di proteggere il bambino, sono stati assolti in via definitiva perché ritenuti non responsabili di quanto è accaduto nella stanza del consultorio. “Di chi è oggi la colpa di quello che è successo a mio figlio? – dice a Fanpage.it Antonella – Quello che ho cercato disperatamente di salvare? Beh, per alcuni mia. Al processo di primo grado mi sono sentita dire dal sostituto procuratore che avrei dovuto fuggire all’estero, cosa per la quale mi avrebbero accusato di sottrazione di minore” commenta oggi Antonella.
L’associazione: ‘Federico nel cuore’
“Nessuno ha pagato per la morte del mio piccolino – riflette – ma quel che più mi indigna è che dopo dieci anni tantissime donne vittime di violenza vedono continuamente messa in discussione la propria competenza genitoriale, e vengono imbavagliante da una teoria immorale e disconosciuta da tutto il mondo accademico nazionale e internazionale detta Alienazione genitoriale”. Proprio per mettere la sua tragica esperienza al servizio di altre persone, oggi Antonella ha fondato l’associazione ‘Federico nel cuore‘, che si occupa di sostenere altre vittime di violenza e madri che affrontano percorsi guidati all’interno di separazioni da uomini violenti, per prepararle a tutto. Mai sottovalutare la pericolosità di un incontro protetto.