«I passi incerti che si fanno largo nell’erba alta. I deboli calci tirati all’indirizzo di una palla di pezza. Mamma e papà che osservano orgogliosi il proprio figlioletto che cammina incontro alla vita. Le prime risate. I primi giochi. Le prime scoperte. La felicità nel sorriso estasiato di un quattrenne che trascorre spensierato le sue giornate tra marachelle e sonnellini pomeridiani. Negli occhi dei genitori la paura per il futuro ma anche la consapevolezza di aver costruito una famiglia. Un lavoro stabile. Una bella casa. Una bambina in arrivo. Poi la caduta. Paolo che non accenna a rialzarsi da quel prato all’inglese divenuto per lui un baratro. La corsa al pronto soccorso. La diagnosi catastrofica. La malattia». Basta davvero poco per mandare in pezzi la vita delle persone realizzò il signor Rossi mentre leggeva, assorto, un articolo sul giornale del mattino sorseggiando il suo caffè americano: piccolo retaggio del suo passato da corrispondente negli Stati Uniti. Ormai cronista in pensione, ogni giorno, si svegliava di buon mattino, comprava il giornale e poi lo leggeva in poltrona. Una routine che gli appariva, dopo una vita di corsa, così, tremendamente rassicurante. Di tanto in tanto sua moglie occhieggiava dalla cucina chiedendogli se gli servisse qualcosa. E lui, come tutte le mattine, le rispondeva di “No”.
Ma non quel giorno. Talmente assorto nella lettura che raccontava dell’ennesimo caso di malattia da risultare scortese alle amorevoli attenzioni della bella Nora. «Dopo svariati lavori e turni massacranti, Marco aveva realizzato il suo desiderio più grande: arruolarsi nelle Forze Armate. Nell’Esercito si trovava bene. Aveva stretto amicizia con i commilitoni. I superiori erano severi ma giusti. Con i risparmi era riuscito a ristrutturare la vecchia casa lasciatagli in eredità dai suoi e a sposare Mara, storica fidanzata e spenta cassiera in un supermercato. Però, la stabilità economica di Marco aveva riacceso in lei la speranza che le cose potessero andare meglio. Matrimonio modesto. Pochi invitati. Il piccolo Paolo a portare le fedi. La gioia di poter entrare in una casa vera senza più l’incubo dell’affitto da pagare a cadenza mensile all’arcigno proprietario. La malattia di Paolo aveva riportato Marco e Mara alla realtà.
I medici avevano detto loro che dovevano rivolgersi a degli specialisti. Andare fuori. Lasciare il paese. Dedicarsi al bambino. Le notti insonni passate a cercare su internet il Centro tumori più all’avanguardia. L’ipotesi di emigrare oltreoceano. Piombati nella disperazione più angosciante, Marco contattò un suo vecchio compagno del liceo, diventato medico, che gli suggerì di andare a Milano, presso L’Istituto Nazionale dei Tumori. Via Venezian, quel giorno di gennaio, sembrò gelida più che mai.
“A Milano c’è la nebbia. Copritevi che fa freddo!” Avevano detto loro i vicini di casa rispolverando vecchi cliché. Ebbene, la nebbia era solo nei loro cuori. A Milano splendeva il sole. “Un buon auspicio” Pensarono i due e lo pensò pure Paolo che nel frattempo si era svegliato e aveva fame. Una brioche al volo e poi in sala d’attesa. Seduti ore ed ore. Il dottore che doveva riceverli assentatosi per un’urgenza. “In fondo c’è sempre chi sta peggio” rifletté bonario Marco ma in quel momento non riusciva ad empatizzare con il malato di turno, temeva per la sua famiglia e per il suo bambino. Si diventa tremendamente egoisti quando si ha a che fare con la malattia.
Dopo ore a friggere sulla graticola, il medico comunicò loro che il piccolo Paolo era affetto da una grave forma di tumore. Marco non ricordava di preciso le parole che aveva pronunciato il dottore, aveva spento il cervello quando questi aveva articolato la frase nefasta “bisogna iniziare subito le cure”. I viaggi a Milano si susseguivano a cadenza regolare. Marco e Mara portavano a turno il piccolo in ospedale che a Paolo sembrava come una gigantesca navicella spaziale con dentro tanti piccoli astronauti tutti con la stessa uniforme che camminavano lungo corridoi infiniti, tenendo in mano voluminose cartelline, stetoscopio al collo e una collezione di penne nel taschino in alto, a sinistra. “Chissà che ci fanno con tutte quelle penne?” Si chiese Marco mentre aspettava che il bambino finisse la terapia. E poi gli venne in mente anche qualcos’altro. La divisa che indossava, quella per la quale ogni volta che da bambino gli chiedevano: “Cosa vuoi fare da grande?” rispondeva sempre: “Voglio fare l’Esercito!” poteva aiutare tanti bambini come Paolo. L’Istituzione Esercito e L’Istituto Nazionale dei Tumori, insieme, uniti, avrebbero potuto fare qualcosa di grande.
Tornato a Roma, Marco parlò della sua idea con Luca, un collega siciliano alto, riccioluto e sempre con la battuta pronta. Ma stavolta era serissimo. Gli disse che si sarebbe interessato alla questione e gli avrebbe fatto sapere. Esaltato dal progetto, Luca ne discusse con i suoi superiori che sposarono l’idea e misero in moto la macchina organizzativa per dare vita ad una partnership con l’Istituto Nazionale dei Tumori, a favore della ricerca. Il piccolo Paolo andava poco a poco migliorando. La pelle era l’unica cosa che tratteneva Marco e Mara dall’esplodere per la felicità. Un’inebriante letizia non solo per il loro bambino ma anche per tutti quelli che grazie al contributo di tanti e dell’Esercito potevano aver un’ulteriore speranza di guarigione e continuare a giocare in giardino come aveva ripreso a fare Paolo coltivando il sogno di diventare il futuro Messi, lasciando, di tanto in tanto, il pallone per dare un tenero bacio alla piccola Livia, appena venuta al mondo». Il signor Rossi ripose il giornale sul tavolo basso del soggiorno. Sorrise soddisfatto. Poi, si alzò dalla poltrona maledicendo l’artrite e andò in cucina. Spense il fornello sul quale borbottava il ragù sotto lo sguardo interdetto di Nora. “Bisogna approfittare di una bella giornata come quella di oggi. Vestiti. Ti porto a pranzo al lago”. La storia che vi abbiamo raccontato mescola realtà e fiction letteraria. Ma la mattinata del 16 maggio scorso presso l’Orto Botanico Centro Studi di Milano, all’interno della Giornata della Ricerca durante la quale è stato firmato il primo Protocollo d’Intesa tra l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e l’Esercito Italiano, a sostegno della ricerca oncologica, non sarebbe stata possibile senza la brillante idea di tre Graduati: Luana Schepis, Federica Giraldo e Francesco Torregrossa che si sono rivolti al C.le Magg.Sc. Francesco Gentile che ha abbracciato, fin da subito, la causa rivolgendosi al Consiglio Intermedio della Rappresentanza del Comando Logistico dell’ Esercito e questi al Gen.C.A. Francesco Paolo Figliuolo. Gentile, inoltre, ha prospettato l’idea allo Stato Maggiore dell’Esercito nella persona del Gen.B. Paolo Raudino, sempre attento alle iniziative proposte dal personale, il quale, entusiasta dell’iniziativa, ha messo in piedi la macchina organizzativa avvalendosi dei suoi fantastici collaboratori, tra cui il Col. Bruno Compagnone e il Cap. Andrea Mannoni che “in squadra” con Gentile, hanno avviato i primi tavoli d’incontro con l’Istituto Milanese, fiore all’occhiello in tutto il mondo per la ricerca in campo oncologico. Per la messa in pratica fattiva del progetto, si è avviato un serrato confronto con l’entourage dell’Istituto, nelle persone del Dott. Paolo Polli, macchina propulsiva, del Presidente dell’ Istituto Dott. Marco Votta e del Direttore Scientifico, Dott. Giovanni Apolone; mentre l’organizzazione la realizzazione della giornata della ricerca è stata curata dalla Dott.ssa Anna De Filippo. La base del Protocollo prevede che l’Esercito fornisca uomini, mezzi e materiali a fronte di scontistiche e agevolazioni economiche nel campo delle prestazioni indirette da parte dell’ Istituto per i familiari e personale militare. Dopo aver definito tutto, il progetto è stato presentato al Sottocapo di Stato Maggiore Esercito Gen.C.A. Claudio Mora il quale, accogliendo con grande entusiasmo l’iniziativa, ha avallato il Protocollo che è stato ratificato nel corso della Giornata per la Ricerca. «È nostro comune obiettivo – ha sottolineato Mora – favorire una maggiore conoscenza, oltre che dare un contributo sul tema delle malattie oncologiche. Per questo l’Esercito è presente oggi in questa importante giornata dedicata alla ricerca scientifica. Siamo orgogliosi di firmare questo Protocollo e di poter affiancare, nel rispetto delle proprie funzioni e competenze, un Centro di eccellenza italiano nella lotta contro il cancro». Le statistiche di guarigione sono confortanti ma c’è ancora molto da fare. Occorre mantenere uno stile di vita sano, curare l’alimentazione e sottoporsi a controlli periodici. La prevenzione è fondamentale. La volontà dell’Esercito è quella di stare al fianco della Ricerca, concorrendo con l’Istituto al progetto del 5×1000. La campagna di sensibilizzazione verrà avviata grazie ad uno spot girato a Milano nei giorni scorsi dal celebre regista Paolo Monico e che inonderà le reti televisive per far sì che tutti possiamo schierarci con la ricerca e contro il cancro affinché tanti bambini come Paolo continuino a vivere grazie al lavoro incessante di quei giovani ricercatori che, pur guadagnando uno stipendio ignominioso, giorno dopo giorno, spinti unicamente dalla passione per il proprio lavoro, si impegnano per dare a chi soffre un avvenire di speranza. Articolo in concessione da Giorgia Ferri