Sulla vita ci deve essere una libertà di scelta personale, non c’è nulla di estremista nel dirlo, mia madre che è cattolica mi ha insegnato il libero arbitrio. (Emma Bonino)
Lo scorso quattro ottobre, con 21 voti a favore, e soli 6 voti contrari, il consiglio comunale di Verona ha approvato la mozione 434 della Lega, che rende ufficialmente Verona una “città a favore della vita”, e che rende lecito il finanziamento di associazioni cattoliche che promuovono attività antiabortiste. La notizia è stata diffusa sui social-network dalla pagina Facebook del gruppo di attiviste Non Una di Meno, che in segno di protesta si sono presentate in consiglio vestite da ancelle della serie televisiva distopica (nonché romanzo di Margaret Atwood) The Handmade’s Tale. La protesta è stata sgomberata e alle ragazze sono stati trattenuti i documenti.
Come ha spiegato Giulia Siviero su Il Post, della mozione in questione si era iniziato a parlare il 26 luglio di quest’anno, quando al consiglio comunale di Verona erano state presentate non una, ma ben due mozioni, profondamente lesive nei confronti della libertà di scelta che le donne italiane hanno faticosamente conquistato con l’approvazione della legge 194. Proposte dalla Lega, e firmate dal sindaco Federico Sboarina, la mozione 434 e 441, miravano rispettivamente: a rendere legittimo l’utilizzo di soldi pubblici per campagne antiabortiste; e a legalizzare una sorta di cimitero dei feti, cioè la sepoltura dei feti abortiti al di là della volontà materna.
Alberto Zelger, il leghista che ha proposto le mozioni in questione, è stato intervistato mentre indossava una spilla a forma dei piedi di un feto di 10 settimane, affermando che provvedimenti di questo genere sono necessari, “soprattutto in un periodo in cui non nascono più bambini in Italia”, causando il rischio di invasione da parte dei bambini islamici. Favorevole alla mozione anche la capogruppo del Partito Democratico, Carla Padovani, che ha provocato accese reazioni da parte delle donne del PD.
A prescindere delle frasi illogiche di Zelger o delle posizioni di Carla Padovani, quello che più ci spaventa di quanto è accaduto è la facilità con cui una legge come la 194, costitutivamente fragile, continua a essere messa in discussione da quelle stesse istituzioni che dovrebbero tutelarla. Si tratta di un rischio rispetto al quale Emma Bonino, in occasione dei 40 anni della legge (ironicamente caduti proprio quest’anno), ha parlato a gran voce alle giovani donne. Quelle giovani donne siamo noi. Ed è svilente pensare che ancora dobbiamo stare qui a spiegare che l’aborto è un nostro diritto nella stessa misura in cui lo è la libertà di autodeterminazione.
Chiunque abbia avuto a che fare con donne che hanno deciso di intraprendere la strada dell’aborto (e a noi è capitato spesso, perché le nostre lettrici ci scrivono per raccontarci le loro storie), sa bene quanto doloroso, delicato e intimo possa essere prendere una decisione così difficile. Quanto spesso sia il frutto, prima un dissidio, e poi di un lutto interiore. Siamo davvero ancora convinti che le donne utilizzino l’aborto come un anticoncezionale? Perché nel caso è utile ribadire all’infinito che no, non è così. La 194 è riuscita a lenire la piaga di quegli aborti clandestini che hanno ucciso migliaia di donne. È un principio molto semplice, ma evidentemente non così scontato: se si è contrari all’aborto è sufficiente non abortire, decidendo per se stessi. Ma nessuno ha il diritto di decidere per gli altri. Noi stiamo, e staremo sempre, dalla parte dei diritti: defendiamo la legge 194.