Achille Lauro è stato l’artista più apprezzato di Sanremo 2020. Un apprezzamento a tutto tondo quello che l’ha investito: per l’idea di sé portata sul palco, per le citazioni al mondo dell’arte esplicitate nei look, per i richiami colti, accuratamente selezionati che lo hanno visto portare a Sanremo un progetto già che l’artista Achille Lauro. E a poco più di una settimana dalla consacrazione, dopo avere accettato l’incarico di direttore artistico di Elektra Records, Achille racconta il contesto in cui è maturata la sua musica, la visione d’insieme che lo ha aiutato a creare. A pensare al modo più giusto per riscattare se stesso e la sua famiglia.
I genitori di Achille Lauro
“Sono figlio di gente onesta, di chi ha sacrificato una vita per il lavoro sopportando per anni di farsi sputare addosso senza mai ricevere nulla” scrive Achille in un post pubblicato sul suo profilo Instagram. Sono parole scritte di suo pugno, un racconto articolato attraverso il quale Lauro racconta la sua famiglia, il contesto difficile che lo ha visto crescere e assecondare il bisogno naturale di emergere:
Mio padre di giorno insegnava pur di portare a casa quattro soldi e di notte non dormiva ossessionato dal rimanere condannato in una misera vita. Ho visto mia madre fare lavori umilianti ma caritatevoli. Mai dirò che mi ha fatto mancare qualcosa. La mia rabbia e la mia ambizione nasce dalle umiliazioni. Quello che hanno fatto alla mia famiglia mi ha fatto diventare chi sono.
Mia madre ha vissuto per gli altri, andava sulla strada ad aiutare prostitute a salvarsi assumendosi grandi rischi, ospitava a casa bambini di famiglie in difficoltà anche quando noi stessi eravamo disperati. Sono contento perché è anche grazie a quello che abbiamo passato se sono qui e, nonostante abbia avuto un rapporto difficile con la mia famiglia, sono felice perché oggi mio padre ha conquistato quello per cui ha vissuto e mia madre ha un ruolo importante al mio fianco.
Le difficoltà di Achille Lauro adolescente
Da adolescente, quando la sua famiglia ha vissuto il momento più difficile, Achille ha dovuto inventarsi un altro modo per vivere. Ed è verso l’ambiente nel quale è cresciuto che oggi è rivolto: “Il mio nome è famoso perché tutti hanno conosciuto me quando dormivo in una macchina, quando vivevo in uno squallido hotel a Boccea, quando avevo paura per mia madre, quando a Val Padana c’erano quei ragazzi e oggi sono rimasti solo ritratti sui muri e fiori”. La sua storia personale non è più un mistero, ha voluto raccontarla per poterne fare un esempio:
Sono contento quando riesco a fare qualcosa per le persone che ne hanno bisogno tra cui alcuni dei ragazzi cresciuti con me fin da piccoli, protagonisti delle mie storie vere e del mio successo, che ancora oggi vivono un disagio che alcuni sono solo capaci di raccontare. No cantastorie. Documentario di una generazione.
Sono diventato migliore di ieri perché sono già stato chi nessuno sarebbe mai voluto essere e perché quei ragazzi sono cresciuti avendo come esempio quello che non sarebbero mai voluti diventare. Gloria ai miei ragazzi, a chi è come noi e a chi non c’è più. È ora di aprire il nuovo sipario dove la morte stavolta è soltanto una messa in scena e dove si rimarrà per sempre.