In una intervista, dopo la squalifica che gli segnò la vita sportiva e non solo, Taborre parlò di storia incredibile e di sabotaggio. «Come mai i miei valori, dopo un controllo, non si siano sostanzialmente modificati, come mai l’ematocrito non è salito, l’emoglobina è rimasta identica ?». #FOTO A FINE ARTICOLO
«Nulla di ciò che mi è accaduto ha una logica», dichiarò perplesso. Un sabotaggio che Fabio Taborre non ha mai potuto dimostrare. Il ciclista non credeva fosse «il modo per combattere il doping. Ero al minimo di ingaggio, guadagnavo 30 mila euro l’anno. La mia vita è rovinata, la carriera è andata». Le sue parole all’epoca dei fatti. Oggi mondo delle due ruote lo piange e lo ricorda per la promessa che fu e per il ragazzo che era, ancora con tutta la vita davanti per mettersi alle spalle un passato turbolento.
Lo sport abruzzese piange Fabio Taborre. Il giovane ciclista di Pescara, nato il 5 giugno del 1985, è morto ieri, dopo aver combattuto a lungo con una grave malattia. Professionista dal 2009, tra i suoi successi quelli del 2011 (vinse il Gran Premio Città di Camaiore e il Memorial Marco Pantani). Nell’estate del 2015 venne trovato positivo ad un test antidoping e sospeso dall’UCI fino al 2019.
Due le partecipazioni al Giro d’Italia per l’ex di Acqua&Sapone e Vini Fantini, tra le varie maglie difese in una carriera con tanti passaggi poco fortunati e a tratti maledetta. Oltre alla squalifica di 4 anni per doping, Taborre era incappato anche in uno spiacevole episodio. Fu allontanato e licenziato dall’Androni Sidermec per aver utilizzato degli ormoni per la crescita, e addirittura arrestato. L’accusa, per l’ex ciclista e per un suo presunto complice, fu di furto aggravato.
In una intervista, dopo la squalifica che gli segnò la vita sportiva e non solo, Taborre parlò di storia incredibile e di sabotaggio. «Come mai i miei valori, dopo un controllo, non si siano sostanzialmente modificati, come mai l’ematocrito non è salito, l’emoglobina è rimasta identica ?». «Nulla di ciò che mi è accaduto ha una logica», dichiarò perplesso. Un sabotaggio che Fabio Taborre non ha mai potuto dimostrare.
Il ciclista non credeva fosse «il modo per combattere il doping. Ero al minimo di ingaggio, guadagnavo 30 mila euro l’anno. La mia vita è rovinata, la carriera è andata». Le sue parole all’epoca dei fatti. Oggi mondo delle due ruote lo piange e lo ricorda per la promessa che fu e per il ragazzo che era, ancora con tutta la vita davanti per mettersi alle spalle un passato turbolento.