Vi proponiamo un approfondimento del sito www.albanesi.it che è davvero moto interessante e che reputiamo sarebbe davvero importante leggere. Le bottiglie in PET* per acque o bevande varie non sono pensate per essere riutilizzate una seconda volta. Non si tratta soltanto di un problema legato alla scarsa igiene; il fatto è che con il passare del tempo questi contenitori perdono le loro caratteristiche chimico-fisiche. A tutti, o quasi, sarà capitato di riempire con l’acqua del rubinetto o con altri tipi di bevanda le bottiglie in PET acquistate al supermercato o le bottigliette dei rifornitori automatici. Per alcuni studiosi, però, non si tratta di una buona abitudine. Cerchiamo quindi di capire se e come è possibile riutilizzarle e quali danni potrebbero arrecare alla nostra salute. Secondo Giorgia Spigno, docente alla Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’università Cattolica di Piacenza e esperta di food packaging, le bottiglie in PET non dovrebbero essere utilizzate una seconda volta.
Spiega la Spigno: “Quando il consumatore compra una bottiglia in PET non conosce la sua storia: non sa se è stata esposta a fonti di calore o a temperature troppo basse che alterano alcune proprietà della plastica, come la resistenza meccanica o la capacità di permettere il passaggio dei gas”. Il problema principale, ma non l’unico, legato al loro riutilizzo è l’igiene. “La maggior parte delle volte beviamo direttamente dalla bottiglia, soprattutto se è quella da mezzo litro. Una abitudine che non garantisce la sicurezza igienica per i liquidi che successivamente metteremo in quel contenitore. Gli odori sgradevoli che a volte sentiamo sono dovuti proprio alla contaminazione microbiologica che abbiamo causato con il contatto con la nostra bocca”.
Un’accortezza potrebbe essere quella di lavare la bottiglietta anche se, come ricorda l’esperta, “non sono progettate per essere riutilizzate, ma per contenere l’acqua fino a che il consumatore non la beve”. Le bottiglie tradizionali sono realizzate in PET: con il calore questa sostanza può degradarsi e rilasciare sostanze quali acetaldeide e antimonio. Secondo le disposizioni europee, il limite massimo consentito di acetaldeide è di 6 milligrammi per kg di alimento, un limite che nelle nostre bottigliette è rispettato. L’antimonio si sprigiona, invece, solo al contatto con liquidi bollenti o nel microonde.
Un discorso a parte andrebbe fatto sul bisfenolo-A, una sostanza chimica usata insieme al policarbonato per produrre bottiglie per bibite, biberon e stoviglie di plastica. Non si può escludere che tale sostanza possa finire nelle bevande e nei cibi che mangiamo. Va però precisato che test effettuati recentemente sembrano indicare che il bisfenolo non sia presente nelle bottiglie in PET utilizzate per il confezionamento delle acque minerali. Il bisfenolo è solitamente presente nei contenitori rigidi a base di policarbonato, come nei classici biberon di plastica (anche se in questi ultimi anni il suo utilizzo è stato proibito), nei boccioni dell’acqua e in altri accessori di plastica.
Recentemente l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha deciso di istituire un gruppo di lavoro formato da esperti internazionali per valutare gli effetti del bisfenolo-A. La decisione è stata presa in seguito a un rapporto dell’Istituto nazionale olandese per la sanità e l’ambiente, che solleva timori in merito agli effetti del bisfenolo-A sul sistema immunitario di feti e bambini. Già da diverso tempo (dicembre 2014) l’EFSA aveva ridotto la dose giornaliera tollerabile per il bisfenolo-A da 50 mcg per chilogrammo di peso corporeo al giorno a 4 µg/kg. È una dose temporanea, in attesa che nuovi studi, come quello del National Toxicology Program statunitense, siano disponibili. L’EFSA, infatti, si è impegnata a valutare nuovamente il bisfenolo-A nel 2017. Per il momento, l’unica raccomandazione è quella di ridurre la propria esposizione al bisfenolo-A da alimenti e altre fonti. (Continua…..)
Un’alternativa alle bottigliette di plastica sono le classiche “bisacce”. Spiega l’esperta: “Sono concepite per un uso ripetuto. Dobbiamo però stare attenti a non romperle: se all’interno ci sono delle microfratture, sarebbe meglio non utilizzarle più”. Un’altra soluzione è quella di acquistare delle bottiglie di vetro leggere che non presentano controindicazioni. Il numero che diverse aziende che commercializzano acqua minerale inseriscono sul fondo delle bottiglie non indica, come qualcuno erroneamente crede, il numero di possibili riutilizzi, ma soltanto al tipo di plastica. “In alcune città, infatti, il sistema di raccolta dei rifiuti consente di separare le diverse plastiche” spiega la Spigno. Come ha stabilito una direttiva europea, a ogni numero corrisponde una composizione specifica. 01 – polietilene tereftalato (o arnite), utilizzato per le bottiglie di acqua 02 – polietilene ad alta densità, per i detersivi e i vasetti di yogurt 03 – cloruro di polivinile, per i contenitori alimentari 04 – polietilene a bassa densità, per i sacchetti di cibo congelato 05 – polipropilene, per le bottiglie di salse 06 – polistirene, per i bicchieri di carta 07 – per tutti gli altri tipi di plastica.