Hanno portato il «loro» bambino in istituto la mattina di Santa Lucia. Hanno messo tutte le sue cose in tre valigie, in una i vestiti, nella seconda i giocattoli e nella terza i libri, quelli con le storie che «mamma» gli raccontava ogni sera prima di dormire. L’hanno abbracciato stretto, accarezzato, gli hanno fatto le solite raccomandazioni e l’hanno consegnato alle educatrici nella sua nuova-finta-casa, in attesa di entrare in quella definitiva di chi lo adotterà.
È entrato in istituto stringendo il suo leone di peluche, chiesto a Santa Lucia perché «lui è un animale forte e mi proteggerà». Sapeva che non avrebbe portato all’asilo i regali ricevuti per mostrarli agli amichetti né che, il pomeriggio, sarebbe stato in casa con i suoi «tre fratelli mandanti dalla Provvidenza» a godere della giornata più emozionante che si tiene nel cuore come una delle più preziose della vita.
«Il suo giorno di Santa Lucia non è stato magico ma drammatico, come lo saranno i prossimi di Natale», sospira la mamma ex-affidataria, «è in comunità da solo, lontano da noi, da tutti i suoi affetti, dai suoi ambienti, dalle sue certezze, chissà come sta, se piange, se continua a farsi la pipì addosso come negli ultimi giorni dopo che gli abbiamo detto che ci saremmo dovuti separare. Una crudeltà, una violenza su una creatura di soli 3 anni che ha già sofferto troppo, ma perché? Perché torturare psicologicamente un bambino sballottandolo come un pacco? Sarebbe questa la fine psicologia di chi si occupa di minori in difficoltà?».
Lo sfogo della super mamma a cui il tribunale ha dato l’aut-aut ordinando di «portare il piccolo in Comunità entro il 14 dicembre perché c’è una sentenza esecutiva che ha definito il suo stato di adottabilità», diventa un pianto sconsolato: «Quella fatta a Marco (nome di fantasia, ndr) è una ingiustizia e bisogna riparare subito questa situazione abominevole, prima che i danni diventino voragini buie che lo destabilizzano in maniera definitiva. Io e mio marito abbiamo chiesto ai giudici di Venezia il permesso di andarlo a riprendere. E’ entrato nelle liste delle adozioni? Bene, siamo pronti a non essere più solo affidatari ma a tutti gli effetti i suoi genitori adottivi, lo vogliamo con noi, i suoi tre fratelli lo aspettano a braccia aperte».
Poi, la mamma («lui mi chiamava così») che ha cresciuto Marco da quando aveva 8 mesi fino all’altro giorno, propone anche una soluzione “ponte“: «C’è un ricorso dei nonni contro la sentenza di primo grado sulla adozione, non potevano i giudici aspettare l’esito e intanto lasciarlo con noi per Natale e le feste? Se poi finirà che non possiamo adottarlo e che sarà accolto da una nuova coppia che gli darà il cognome, non era più umano evitargli il passaggio in istituto il giorno di Santa Lucia che suona più come una violenza che come una tutela?».
Si appella al buon senso, al cuore, alla sensibilità e alla presa di posizione di qualche tecnico dal cuore peloso, «non c’era alcun motivo per portarlo via dai suoi affetti il 13 dicembre e per fargli trascorrere il 25 dicembre e il 31 lontano dalla famiglia in cui è cresciuto. Il mio bambino ora è là da solo, lontano da tutto e tutti, di nuovo col pannolone che avevamo tolto da tempo, perché i bambini parlano anche così, con le regressioni». I «genitori» di Marco sono sconvolti, i suoi «fratelli piovuti dal cielo» di più. La più piccola non dorme più, «è disorientata». Un dramma umano. «Ci manca un pezzo importante, siamo persi».