Durante la conference call, seguita alla pubblicazione dell’inchiesta del New York Times, Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, ha ammesso di aver pensato di chiudere Facebook, “per difendere la privacy delle persone coinvolte nella fuga di dati a opera di hacker”.
Mark Zuckerberg: “Ho pensato di chiudere Facebook”
Durante la conference call, seguita alla pubblicazione dell’inchiesta del New York Times, Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, ha ammesso di aver pensato di chiudere Facebook, “per difendere la privacy delle persone coinvolte nella fuga di dati a opera di hacker”.
L’inchiesta del New York Times su Facebook ha sicuramente scosso l’ambiente di Menlo Park e ha, inevitabilmente, scosso anche il suo fondatore, Mark Zuckerberg. I tanti elementi emersi dall’inchiesta come la strategia di negare, nonostante ne fossero a conoscenza, i fatti legati al fenomeno delle fake news e, soprattutto, lo scandalo Cambridge Analytica, hanno ancora una volta portato Facebook nella bufera. In un contesto del genere la conference call con i giornalisti non poteva non toccare i temi dell’inchiesta. Ma quello che ha sicuramente colpito, oltre al fatto che Zuckerberg abbia ancora una volta ammesso di non essere a conoscenza di tante cose, tra cui l’attività di lobbying per screditare George Soros, è il momento in cui il fondatore ha dichiarato che per ben due volte ha pensato di sospendere il social per il bene della piattaforma: “Abbiamo pensato di sospendere Facebook, in diverse occasioni, nel 2010 e di nuovo qualche mese fa, per difendere la privacy delle persone coinvolte nella fuga di dati a opera di hacker”.
Alla conference call, che si è tenuta immediatamente dopo le polemiche scoppiate in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta su Facebook del New York Times, la domanda che ha fatto calare il gelo più totale è stata: “Ha mai pensato di chiudere Facebook?”. Sono seguiti due minuti in cui la tensione era alle stelle, due minuti di silenzio che in realtà dicevano molto. “Sì”, risponde Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, in maniera sorprendente. “Abbiamo pensato di sospendere Facebook, in diverse occasioni, nel 2010 e poi di nuovo qualche mese fa, per difendere la privacy delle persone coinvolte nella fuga di dati a opera di hacker”.
Una vera e propria ammissione che, in un certo senso, rivelano quanto sia acuta la crisi di Facebook, nonostante in grandi fatturati. C’è, nelle parole di Zuckerberg, una ammissione di colpa e una presa di coscienza che la situazione è realmente sfuggita di mano in certe situazioni, su tutti, nel momento in cui è esploso il fenomeno delle fake news, in seguiti all’elezione di Donald Trump come 45° presidente degli Usa, fenomeno che ha poi dato vita al Russia Gate, e ne momento in cui è esploso il grande scandalo di Cambridge Analytica, i cui effetti sono si sono ancora sopiti del tutto.
Successivamente, viene chiesto a Zuckerberg se qualcuno perderà il posto in seguito alle rivelazioni rese al New York Times e il CEO di Facebook risponde: “Sono questioni serie, abbiamo fatto le nostre indagini. Facciamo errori e impariamo. Valutiamo costantemente il rendimento di chi lavora a Facebook”.
In merito al Russia gate, e all’influenza russa sulle notizie diffuse sulla piattaforma a favore dell’elezione di Donald Trump, Zuckerberg ha dichiarato: “Dire che volevamo nascondere quello che sapevamo o ostacolare le indagini è assolutamente falso”.
Insomma, Facebook se non è in uno stato di crisi acuta è sicuramente in affanno e l’inchiesta del NYT evidenzia questo stato di crisi, e di nervi, che ormai va avanti dall’inizio di quest’anno, e non è chiaro quando finirà.