Maya è siriana, senza gambe e con un destino incerto; Maya è fortunata perchè ha un supereroe, un padre che crea due protesi di fortuna. Per sfuggire all’orrore della guerra e dell’indifferenza umana servono gambe e fiato; Maya resta indietro, ferita da una vita che non ha scelto di vivere, ma che il destino le ha imposto.
La genetica le ha carpito le gambe e la guerra, con l’inganno, la luce di speranza nei occhioni neri come un cielo senza stelle. Con la sua famiglia in fuga da Aleppo con un unico, inequiparabile mezzo, l’amore incondizionato. Dove gli strumenti scarseggiano e la sopravvivenza è una scommessa che si rinnova ogni giorno, anche la dignità è una “moneta” troppo cara. (Continua…..)
La guerra in Siria è un incendio senza fiamme, un silenzio imposto, un’atrocità zittita dal terrore; non fa più notizia perchè è la quotidianità di un popolo decimato e non l’eccezione. Una terra che muore spirando con i suoi abitanti, ogni giorno un pò. Nessuna tregua, nessuna pietà per questo popolo senza terra e senza diritto di sopravvivenza. Lontana dagli occhi, la vita non cessa di essere tale, solo meno scabrosa per chi si volta dall’altra parte.
Il cardinal Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, durante la festa di Avvenire a Matera afferma: Più della metà degli ospedali sono fuori uso come una scuola su tre. Ci sono tanti buoni samaritani in Siria. Nel settore sanitario ne sono stati uccisi più di 700. Nel Paese, i ladroni uccidono anche i buoni samaritani. Maya non si arrende ed insieme a suo padre ci urla che non tutto è perduto; che lì dove non arriva la luce, uno spiraglio ti dona il più meravigliso dei miraggi. Tra le macerie, un fiore ostinato e dignitoso. Lì dove gli strumenti scarseggiano, divampa la fiamma della creatività. Si dice che la “necessità aguzza l’ingegno” ed è quello che è successo all’amorevole papà di Maya. (Continua…..)
Maya Meri ha otto anni, è venuta al mondo ad Aleppo, dilaniata dalle bombe; la bambina, già vessata dal destino, è sbeffeggiata anche dalla genetica. Una malattia le ha “sottratto” gli arti inferiori e la guerra, lo stretto necessario per la sopravvivenza. Maya non è la migliore scommessa sul tavolo di gioco tra la morte e l’ronia della sorte; lenta per natura, non può spostarsi per cercare un mondo migliore in cui essere “bambina”. Il padre non si arrende, sua figlia è preziosa e graziosa, una presenza indelebile nel suo cuore. Tuttavia è la sua mente che la soccorre e nel modo più ingegnoso e creativo possibile. Maya non resterà indietro, non perderà nessun passo lungo il cammino verso la vita; due lattine al posto delle gambe e il suo tragitto prosegue. Arriverà lontana, Maya, perchè la sua storia ci infonde speranza.
Divenuta uno dei simboli della sofferenza del popolo siriano, è stata ripagata per il suo destino beffardo. In Turchia ha ricevuto delle protesi artificiali, dopo essere stata prelevata dalle autorità turche, nel campo profughi siriano, insieme a suo padre. Condotta ad Istanbul, in un ospedale specializzato, Mehmet Zeki Culcu, il medico che si occupa del caso, ha dichiarato che camminerà presto. L’ingegno paterno non è passato inosservato: Non possiamo di certo chiamare protesi quelle che la bambina ha adesso. È più che altro un sistema artigianale per permetterle di deambulare. Con l’energia della disperazione, senza mezzi, suo padre ha trasformato la sofferenza in speranza. Grazie all’amore paterno e alle protesi di fortuna, la piccola ha comunque appreso e interiorizzato i movimenti necessari per la deambulazione. Questo renderà la “riabilitazione” meno difficoltosa e Maya avrà, finalmente, l’autonomia che desidera. La storia di Maya si è “impossessata” degli animi più sensibili; sono state numerosissime le offerte di donazione per l’intervento della piccola siriana; il dottor Culcu, tuttavia, si è addossato l’intera spesa e tutto l’impegno necessario per il benessere della sua paziente. Il padre, commosso, dichiara: La cosa più importante è che possa camminare, in modo da essere autonoma. Mi piacerebbe che questo fosse l’inizio di una nuova vita per noi. Sogno di vederla camminare e andare a scuola senza soffrire. Credits, Mariangela Acernese