Notizia certificata e riportata da Il Sole 24 Ore. Sono tra le attività per il cui il Governo ha dato il via libera all’apertura anche nelle zone rosse con il Dpcm del 3 novembre. Ma i parrucchieri dovranno stare ancora più attenti a quanto dichiarano al Fisco. Magari non subito, visto che per l’emergenza coronavirus la notifica di accertamenti è “congelata” (tranne alcuni casi limite) per il tutto il 2020.
Eppure l’amministrazione finanziaria può contare su un ulteriore strumento per contestare chi nasconde i ricavi: lo shampometro, ossia la ricostruzione di quanti clienti sono stati serviti in base al consumo di shampo. Il metodo è fresco di promozione da parte dei giudici tributari. È stata la Commissione tributaria regionale (Ctr) del Lazio con la sentenza 2684/7/2020 – diffusa dal portale della giustizia tributaria del dipartimento delle Finanze – a dare ragione all’agenzia delle Entrate nell’appello presentato dalla società contribuente (una Srl), attiva nei servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere e servizi estetici. (Continua..)
Il contenzioso
La materia del contendere nasce dalla contestazione avanzata dal Fisco di maggiori imposte per l’anno d’imposta 2014 per Ires, Irap e Iva oltre interessi e sanzioni per un importo complessivo di quasi 78mila euro. Una rettifica in cui l’Agenzia si è avvalsa della ricostruzione sulla base delle materie prime utilizzate per servire la clientela. Dopo essersi vista respingere il ricorso in primo grado, la società ha presentato appello in Commissione regionale.
Nello specifico della ricostruzione effettuata con lo shampometro, la difesa della Srl ha fatto rilevare che non è stato considerato «l’autoconsumo, il sapone neutro utilizzato nei bagni, le scorte riportate nell’anno successivo» che insieme «alle ore effettivamente lavorate risultanti dal libro unico del consulente del lavoro» legittimano il reddito che era stato dichiarato. Tesi difensiva a cui le Entrate hanno replicato facendo rilevare la scarsa proficuità dell’attività d’impresa rispetto ai ricavi «con consistenti liquidità in cassa e restituzioni in contanti dei prestiti fatti dai soci in fase di costituzione della società». (Continua..)
I giudici promuovono lo shampometro
I giudici d’appello laziali hanno respinto il ricorso della società di parrucchieri e hanno, quindi, riconosciuto la legittimità dell’accertamento (che, in gergo tecnico, si chiama «analitico-induttivo») effettuato con lo shampometro. Un metodo – come ricorda la Ctr nella motivazione – «analogo a quello del cosiddetto “tovagliometro” (il numero dei tovaglioli utilizzati dal ristoratore) che la Cassazione ha più volte ritenuto idoneo e legittimo» (da ultimo ordinanza 6058/2020).
Per il collegio giudicante l’accertamento «risulta correttamente attivato in base all’anomalia dell’esercizio imprenditoriale: estrema esiguità di redditi e di utili a fronte del rilevante (per un esercizio di parrucchiere) monte ricavi (come sopra riportato rispetto all’anno in esame, il 2014)». Né, sempre secondo la Ctr Lazio, possono assumere rilevanza gli elementi addotti nel ricorso d’appello come «l’autoconsumo o il consumo di sapone neutro (ma qui si è utilizzato come parametro lo shampo) per l’igiene delle mani» o «il numero di ore lavorate registrate su una scrittura di parte».