La sensazione, per Gerry Scotti, è di essersi ritrovato «in mezzo a un ciclone». Quando la pandemia si è rivelata nella sua violenza, il conduttore era al suo esordio, quest’anno, a Striscia la Notizia. «Quando la Lombardia ha chiuso, io per un momento, mi sono detto: cosa faccio?». Di seguito le sue parole rilasciate a Il Corriere della Sera.
Cosa ha fatto? «Mi sono consigliato con la mia famiglia. Ci eravamo resi conto, di colpo, che il pericolo era vero e ancora sconosciuto. Così ho parlato con la mia compagna, con suo figlio che vive con noi, con mio figlio. Il mio editore è stato molto carino. Piersilvio mi ha detto: “Se non te la senti, non farlo: il contratto è una cosa, il nostro rapporto un’altra”. Ho sentito anche Michelle (Hunziker, ndr.), che ha delle bimbe piccole. Quindi ho deciso». (Continua…)
Come è stato andare in onda in piena emergenza? «Eh, lo studio senza pubblico… Il cambiamento è stato radicale. Ma quando ho debuttato a Striscia, 23 anni fa, trasmettevamo da due piani sotto terra e senza nessuno. Per certi versi, è stato un tornare alle origini». Ci descrive quello che dalla tv non vedevamo? «Guanti, mascherine e misurazione della febbre sono diventati automatismi. È meno facile vedere gli autori a cinque metri uno dall’altro, sarte e tecnici sparpagliati sugli spalti dello studio vuoti… perfino Antonio (Ricci, ndr.) ha rinunciato a stare in regia e si è messo lì, per farci sentire non abbandonati. I capannoni Mediaset di solito pieni di gente e ora sigillati fanno impressione».
Ha avuto mai paura? «Beh, d’improvviso avere 60 anni significava, come ha detto anche Fiorello, essere più a rischio. Antonio però mi ripeteva: “Non ti preoccupare, siamo più cattivi del virus”». Intrattenere tanta gente ha avuto un sapore diverso? «Abbiamo preso per mano gli spettatori nei giorni della paura cieca. A modo nostro, esorcizzando, ma la satira è satira e le sue regole non le ho scritte io. Quando con Striscia siamo stati definiti dalle autorità “attività necessaria” mi ha inorgoglito. Non siamo infermieri e nemmeno gommisti, ma è stato bello sentirsi dire che quell’ora di diretta scanzonata fosse un servizio necessario». (Continua…)
La satira è sempre lecita o può essere inopportuna? «Mi viene in mente Charlie Hebdo: hanno fatto satira perfino sull’attentato che avevano subito poche settimane prima. La satira va al di sopra di tutto, ma a Striscia abbiamo sempre cercato di non scherzare mai sulle cose più gravi». Lo spettacolo non vive un momento facile. «In tv la caduta ci sarà subito dopo l’estate. Le risorse dei vari magazzini stanno finendo. La musica si è data da fare per prima, perché ha preso il colpo più forte. Ma anche noi addetti ai lavori della tv dovremmo organizzarci: dietro ogni volto famoso girano un centinaio di persone. Gente che ora è a casa da mesi».
Pensa di fare qualcosa? «Ho degli amici in tv, Carlo Conti, Amadeus, Fiorello, Maria De Filippi. Ci scambiamo spesso pareri ma non abbiamo mai pensato di trovarci e fare qualcosa. La tv deve ripartire da noi. Quindi lancio l’appello: troviamoci prima dell’estate e pensiamo a qualcosa. Anche il mondo della radio si sta organizzando, unendo gli editori. La tv, spesso data per morta, è vivissima: tocca a noi aiutarla». De Filippi con «Amici Speciali», di cui lei è giudice, sostiene la Protezione Civile. «Non potevo non esserci, anche se ogni volta per raggiungere Roma da Milano ci vogliono sei ore. L’impressione più grande è stata entrare in quello studio: era una bolgia, ora è vuoto. Una sensazione mai avuta. Il varietà sarà il genere che soffrirà di più».
E il quiz? «Lo capiremo presto. Probabilmente già prima dell’estate registreremo le nuove puntate di Caduta libera. Certo, farà impressione farlo senza le solite 300 persone vocianti che avevo attorno. Ma abbiamo avuto due o tre ideuzze per sentirci connessi. Poi sono riuscito a registrare anche Chi vuol essere milionario in Polonia, rientrando due giorni prima della chiusura… chissà come sarebbe stato fare la quarantena lì».