Yara Gambirasio sarebbe stata uccisa da un muratore polacco alla presenza di Massimo Bossetti, l’uomo condannato come assassino della ragazzina di 13 anni di Brembate di Sopra, morta il 26 novembre del 2010. A sostenere questa tesi è il contenuto di due lettere anonime arrivate alla redazione del settimanale “Oggi”. Lettere poi consegnate alla procura di Bergamo.
Secondo l’anonimo che le ha scritte, in un italiano non privo di errori grammaticali, il «vero» assassino di Yara sarebbe un muratore polacco, che beveva troppo e quando era ubriaco diventava violento. L’uomo sarebbe poi stato ucciso dai complici in un cantiere, dove avrebbero simulato un infortunio sul lavoro facendolo cadere da un ponteggio. Complici, favoreggiatori e testimoni dell’omicidio, con l’arma del terrore, e della minaccia contro la famiglia, costringerebbero al silenzio Massimo Bossetti.
Il muratore di Mapello avrebbe assistito impotente all’omicidio, sarebbe stato male e poi sarebbe scappato terrorizzato:
“Certo che signor Bossetti non potrà mai dire tutta la verità visto cosa hanno fatto sorella, piena di botte poveretta”, scrive l’anonimo nella prima lettera. E nella seconda aggiunge: “Nessuna meraviglia qualcuno se la prenda con sorella di Massi. Lui non può, non deve proprio parlare ok? (in trappola)… Il Massi ricordo che è scappato dalla spavento… certo eravamo in diversi e voi non lo capite. La Yara l’abbiamo portata in campo e abbandonata come un sacco di patate. Si può dire? Vergogna, si … Abbiamo vomitato nel fare io sono pure svenuto se può interessare o forse no, si figuri il Massi…”.
Scrive l’anonimo: “La Yara era conosciuta brava ragazza davvero, anche sua sorella. Ciao ciao diceva. Punto e basta, poco di più… e poi quella brutta sera maledetta. Yara dunque in primo momento è stata in casa di una brava signora, eravamo in diversi e nessuno poteva pensare male. Un certo momento si è innervosita e voleva andare via tornare a casa l’aspettavano i genitori”. E continua: “Il polacco ubriaco ha cominciato a smaniare, a comportarsi male e molto. Non sapevamo che fare. La bimba gridava pure noi poi il vuoto, il nero, un buio…”.
Le lettere, afferma “Oggi”, hanno il timbro postale di Padova e l’indicazione che provengono da Santa Giustina in Colle, in provincia di Padova. Nelle 59 mila pagine dell’inchiesta c’è una sola persona che proviene da Santa Giustina. È Roberto Benozzo, il datore di lavoro di Fikri, il piastrellista fermato, una settimana dopo la scomparsa di Yara, su un traghetto diretto in Marocco e prosciolto dopo due anni. “Dall’inchiesta Roberto è uscito pulito ma distrutto dai sospetti”, hanno confidato a “Oggi” la mamma e la sorella di Benozzo, affermando, riguardo alle lettere: “È un mitomane che vuole attirare la vostra attenzione”. Sta alla magistratura adesso verificare se si tratti di mitomane o se la segnalazione porterà a nuove indagini.