Sono in mezzo a noi. Più anonimi di noi. Venti-trenta uomini, sospettano. Un commando addestrato e pronto a uccidere il presidente: sono i sabotatori russi che s’aggirano in cerca della preda, i terminatori del Cremlino che ora tutti cercano. I primi veri invasori di Kiev e con una missione precisa: «Killing Volo», come li mostrificano sui social, gente incaricata di cancellare Volodymyr Zelensky dalla faccia dell’Ucraina.
Non li riconoscerete facilmente: chiunque abbia informazioni o anche soltanto dubbi, è l’allerta del ministero dell’Interno, chiami subito e denunci senza esitazione. Anche un piccolo dettaglio può essere importante. «Perché hai timbri russi?», un soldato c’ispeziona il passaporto, la terza mattina di guerra, prima di farci scendere nella fermata Khreshchatyk della metropolitana: «E il telefonino? Vedere le foto, per favore».
Il chivalà l’ha dato lui in persona, Volodymyr Zelensky . E anche stavolta l’ha fatto usando i social, il meno localizzabile dei mezzi: «Secondo le informazioni che abbiamo, il nemico ha individuato me come il target numero 1 e la mia famiglia come il target numero 2. Vogliono distruggere politicamente l’Ucraina, distruggendone il capo dello Stato». Video, foto, post. Aspettando le contraeree che non sono mai arrivate, o non sono arrivate quanto si sperava, tutti i capi dell’Ucraina resistente s’affidano all’unica arma che può rendere un po’ meno facile la vita d’un dittatore: la parola.
L’ex presidente Petro Poroshenko, l’industriale del cioccolato, il grande rivale di Zelensky rientrato apposta dalla Polonia per unirsi alla comune lotta contro l’invasore, si presenta live alla Cnn col giubbotto degl’incursori e solleva un kalashnikov canna corta. E anche Yulya Timoshenko, l’ex premier che non rinuncia nemmeno in queste ore all’acconciatura perfetta e al soprabitino rosa, posa e posta col fucile in mano, in un gruppetto di combattenti. Probabilmente imbottito d’antidolorifici, per difendersi dall’emicrania che lo affligge quando la tensione è esagerata, anche Zelensky s’affida ormai ai social.
E twitta, instagramma, telegramma senza sosta. La sua forma di resistenza. Decine di colpi, per restituirne qualcuno al nemico: «Un nuovo giorno è cominciato sul fronte diplomatico con la conversazione con @EmmanuelMacron», spara di prima mattina. E via così, con la serie di messaggi, riassunti di colloqui:
«Questo è l’inizio d’una nuova pagina di storia fra i Paesi» (hashtag Mario Draghi, dopo una telefonata di chiarimento), «la Germania e l’Ungheria abbiano il coraggio di sanzionare il nemico» (a Viktor Orbán), «l’India non si astenga in Consiglio di sicurezza sulla condanna della Russia» (a Narendra Modi), «grazie ai leader che ci assistono» (allo svizzero Ignazio Cassis e al greco Kyriakos Mitsotakis), «la battaglia è qui, ho bisogno di munizioni, non di un passaggio» (al Dipartimento di Stato Usa che voleva evacuarlo), «ci serve un’assistenza Ue più efficace» (a Ursula von der Leyen), «con questa guerra ci siamo guadagnati il diritto d’entrare in Europa» (a tutti i santi che lo possano aiutare).
Il presidente populista parla anche al suo popolo: «Più di centomila invasori sono sul nostro territorio»; «Il nostro esercito ha sventato un piano russo per insediare un nuovo governo filorusso»; «Il nostro esercito controlla Kiev e le città-chiave attorno alla capitale. Abbiamo disfatto il loro piano»; «L’Ucraina trionferà sulle forze russe. I nostri militari, la nostra Guardia nazionale, la nostra polizia nazionale, la nostra difesa territoriale, il servizio speciale, i cittadini ucraini, per favore continuate, vinceremo!»; «Le nostre armi sono la nostra verità. E la nostra terra. E il nostro Paese. I nostri bambini. Andiamo a difendere tutto questo. Gloria all’Ucraina!».
Un post ogni mezz’ora. È la sua contraerea ibrida. Dall’Unione delle repubbliche socialiste all’unità d’una repubblica fondata sui social: in 30 anni d’indipendenza da Mosca, l’Ucraina ha avuto cinque presidenti, tre rivoluzioni, un’invasione, una secessione, una guerra a bassa tensione da 14 mila morti e ora quest’inferno in terra, con Zelensky costretto a parlare da un bunker e via cellulare. Il Target Numero Uno non ha forse scelta, anche se comunicare messaggi importanti via social è sempre stata una sua mania: in tempi più pacifici, per far capire di voler trattare con un criminale che teneva ostaggi, postò il link d’un film con la trama incentrata su un negoziato.
I russi naturalmente lo irridono: «Zelensky se n’è già andato da Kiev — dice il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin —, lo sanno tutti che è ormai a Leopoli. Venerdì non era più nella capitale ucraina e i video che pubblica sui social sono stati registrati in anticipo». Volodymyr, come Poroshenko, s’aspettava la controinformazione putiniana e infatti si fa riprendere tra soldati che armeggiano o davanti alla Bankova, la Casa Bianca di Kiev. Ma questo non basta al Cremlino: «Un falso. Gli americani hanno già fornito un alloggio a lui e ai suoi assistenti». Alla fine d’una giornata durissima, nella trincea vera e in quella web, anche Zelensky è esausto. E in risposta ai russi posta solo una faccina che ride, fino alle lacrime. Una risata che cancelli la paura.